Sono di 17 µg/mc (microgrammi per metro cubo) per le PM10 e di 19 µg/mc di NO2 le medie annuali 2024 rilevate ad Aosta dall’Arpa e rese pubbliche nello studio “Mal’Aria” di Legambiente, valori che rispettano ancora i limiti stabiliti dall’OMS, Organizzazione mondiale della sanità, in materia di inquinamento atmosferico, ma comunque sono superiori alla soglia consigliata di 15 µg/mc e molto vicini ai nuovi limiti che entreranno in vigore nel 2030 in base alla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, che prevede, per il PM10 una soglia massima di 20 µg/mc.
Se si considerano i recenti limiti suggeriti dalla OMS, oggi il 96% della popolazione urbana è esposta a concentrazioni pericolose di particolato fine (PM2.5), il 94% a quelle relative all’ozono (O3), l’88% a quelle di biossido di azoto (NO2) e l’83% a quelle di PM10.
Proprio le PM10, le polveri sottili o particolato o PM10, hanno diverse fonti di emissione sulle quali bisogna intervenire in maniera sinergica e mirata. Il PM10 è emesso principalmente dalla combustione di combustibili solidi per il riscaldamento domestico, dalle attività industriali, dall’agricoltura e dal trasporto su strada.

Una Lancia Y lasciata accesa in un parcheggio
Aosta, per il momento, resta in una situazione di relativa tranquillità, viste le rilevazioni in altre località che tratteggiano una situazione irrespirabile, visto che nell’anno solare 2024 sono stati 25 i capoluoghi di provincia, con ben 50 centraline di monitoraggio della qualità dell’aria definite di traffico o di fondo urbano, a superare il limite giornaliero di 35 giorni con una concentrazione media giornaliera superiore a 50 µg/mc.
Guida la classifica con 70 sforamenti la città di Frosinone Scalo, segue con 68 Milano Marche (nel capoluogo lombardo anche altre tre centraline, Senato, Pascal Città Studi e Verziere hanno abbattuto il muro dei 35 giorni rispettivamente con 53, 47 e 44 sforamenti). Al terzo posto in assoluto la centralina di Verona Borgo Milano con 66 giorni (ma anche l’altra centralina cittadina di Giarol Grande è giunta a quota 53 sforamenti), seguita da quella di Vicenza San Felice con 64 (registrati superamenti anche nelle centraline vicentine Ferrovieri, 49 e Quartiere Italia, 45); Padova Arcella con 61 (Padova Mandria si è fermata a 52), Venezia via Beccaria 61 (altre quattro centraline del capoluogo veneto hanno registrato 54 sforamenti, in via Tagliamento 42 al parco Bissuola, 40 a Rio Novo e 36 a Sacca Fisola.
Non si sono salvate neanche le città di Cremona, Napoli e Rovigo (57), Brescia (56), Torino (55), Monza (54), Treviso (53), Modena (52), Mantova (50), Lodi (49), Pavia (47), Catania (46), Bergamo, Piacenza e Rimini (40), Terni (39), Ferrara (38), Asti e Ravenna (37).
«Se andiamo a vedere la media annuale di questo inquinante, il bicchiere può apparire mezzo< pieno o mezzo vuoto a seconda di che limite si voglia prendere come riferimento – ha scritto Andrea Minutolo, geologo dell’ufficio scientifico di Legambiente, che ha curato lo studio – perché se il bicchiere mezzo pieno è rappresentato dal fatto che nessuna città capoluogo di provincia ha superato nel 2024 il limite normativo stabilito in 40 µg/mc come media annuale, il rovescio della medaglia, ovvero il bicchiere mezzo vuoto, lo si ottiene se si prendono a riferimento i valori suggeriti dall’OMS che nelle sue linee guida indica in 15 µg/mc la media annuale da non superare. In questo caso, purtroppo, circa il 97% dei capoluoghi di cui si è riusciti a ricostruire la media annuale, con 95 su 98 capoluoghi esaminati, non rispetta tale valore. Con conseguenti danni alla salute delle persone che vivono e lavorano in queste aree urbane. Per fortuna, la nuova direttiva sulla qualità dell’aria recentemente approvata a livello comunitario, ha rivisto i limiti di riferimento per il PM10, avvicinandoli molto a quelli suggeriti dall’OMS. Dal 2030 infatti il limite stabilito come media annuale da non superare scenderà dagli attuali 40 µg/mc a 20, mentre rimane 15 µg/mc il valore suggerito dall’OMS. Questo comporta che nel giro di cinque anni gli Stati Membri dovranno correre ai ripari, Italia in primis, per non farsi trovare impreparati dai nuovi limiti recentemente stabiliti ed approvati. Ad oggi, però, le nostre città sono ancora distanti da quei valori, con 19 capoluoghi che dovranno ridurre le concentrazioni attuali tra il 28% e il 39%».
Tra le più indietro in questo percorso ci sono Verona, con media annuale di 32,6 µg/mc e riduzione necessaria delle concentrazioni del 39%, Cremona, Padova e Catania, con una media 30,7 µg/mc ed una riduzione del 35%, Milano, con una media di 30,5 µg/mc e riduzione del 34%, Vicenza, con una media di 30,3 µg/mc ed una riduzione del 34% e Rovigo e Palermo con una media annuale di 30 µg/mc ed una riduzione necessaria del 33%: «non sarà semplice neanche per gli altri 51 capoluoghi che dovranno ridurre le concentrazioni tra il 3 e il 27% – ha aggiunto Andrea Minutolo – solo 28 capoluoghi, ad oggi, rispettano il valore previsto al 2030 e solo tre città rispettano già oggi il valore indicato dall’OMS. Troppo poco».
Il rapporto “Mal’Aria” presenta luci ed ombre anche per l’altro inquinante tipico dei centri urbani, il biossido di azoto (NO2), principalmente dovuto al trasporto su strada che, emettendo NO2 vicino al suolo e prevalentemente in aree densamente popolate, contribuisce notevolmente all’esposizione della popolazione a concentrazioni che nuocciono alla salute. Senza dimenticare il contributo all’inquinamento dato dai processi di combustione nell’industria e nella fornitura di energia.
Se Aosta resta a 19 µg/mc i valori di NO2 sono fuori norma in 23 città su 98, con in testa Napoli (40,3) e Palermo (39,8) seguite da Milano e Como (32), Catania (32), Torino (31), Roma (30), Brescia e Trento (29).

Una Range Rover Discovery lasciata accesa in un parcheggio tra due BEV
“I nuovi standard sulla qualità dell’aria introdotti nell’ultimo anno nella direttiva europea sulla qualità dell’aria ambiente, la cui entrata in vigore è prevista per il 2030, sono più ambiziosi di quelli attuali e dovranno fin da subito essere di stimolo per tutti gli Stati membri per cercare di allinearsi il prima possibile. In questo scenario, l’Italia risulta ancora molto indietro – si legge ancora nel documento – si nota infatti una certa inerzia nel volere affrontare strutturalmente questo problema che non è solo ambientale, ma anche e soprattutto sanitario ed economico. Perché, come dimostrano numerosi studi internazionali, i costi sanitari associati all’inquinamento atmosferico sono dell’ordine dei miliardi di euro all’anno. È l’ora di agire. Subito”.